IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la seguente ordinanza nella causa d'appello iscritta al
 ruolo generale degli affari civili contenziosi dell'anno 1998  al  n.
 6198   promossa  con  ricorso  depositato  in  data  15  luglio  1998
 dall'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  -  I.N.P.S.  in
 persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
 dagli avv.ti Giorgio Lauria, Giovanni Melluso, Oreste Manzi e Alfonso
 Faienza,  in  forza  di  procura generale alle liti per rogito notaio
 Lupo in Roma rispettivamente n. 22847 del 7 ottobre  1993,  n.  22889
 del  7  ottobre  1993,  n.  22875 del 7 ottobre 1993 e n. 23541 del 3
 gennaio 1994, tutte depositate in cancelleria, appellante;
   Contro la  Scuola  edile  bresciana,  in  persona  del  suo  legale
 rappresentante  geom.  Donati  Franco,  rappresentato  e difeso dagli
 avv.ti prof. Mattia Persiani e  Michele  Tursi,  presso  quest'ultimo
 elettivamente  domiciliata  in Brescia, via Corfu', 94, per mandato a
 margine  del  ricorso  introduttivo  del  giudizio  di  primo  grado,
 appellato;
   Avente ad oggetto: appello avverso sentenza n. 848/1997 del pretore
 di  Brescia  g.d.l. in materia di domanda di accertamento negativo di
 obbligazione contributiva e di condanna alla ripetizione di quanto  a
 tale  titolo  corrisposto  a seguito di procedura di regolarizzazione
 previdenziale.
                               F a t t o
   Con verbale di accertamento del 7 aprile 1993, relativo alla visita
 effettuata presso la sede legale della Scuola edile  bresciana,  sita
 in  Brescia,  via  Garzetta n. 51, l'INPS di Brescia ha contestato la
 posizione di lavoratore autonomo di una serie di  lavoratori,  legati
 alla  Scuola da contratto di collaborazione continuativa e coordinata
 non subordinata, ritenendo che  le  caratteristiche  e  le  modalita'
 d'esecuzione della prestazione da loro effettuata dovessero ritenersi
 proprie del lavoro subordinato.
   L'ente previdenziale ha percio' addebitato alla scuola una serie di
 importi, e precisamente:
     a)  per omesso versamento di contributi da lavoro subordinato per
 i lavoratori di cui sopra L. 710.114.000;
     b)  per  trattenute  sulla  pensione  di  alcuni   dei   predetti
 lavoratori,  non  dovuta  stante  la permanenza di rapporto di lavoro
 subordinato in corso, la somma di L. 55.364.000, oltre quanto  dovuto
 ai sensi dell'art. 40 d.P.R. n. 488/1968;
     c)  per  omesso  versamento contributivo sull'imponibile relativo
 alle prestazioni assistenziali erogate, la somma di 9.769.000.
   In  totale,  per  contributi  non  versati,  trattenute,   sanzioni
 amministrative  e  somme  aggiuntive  ha cosi' addebitato alla scuola
 l'importo di L.  1.857.257.000.
   La  Scuola  edile  bresciana,  avvalendosi   delle   procedure   di
 regolarizzazione contemplate nell'art. 4, d.-l. n. 6/1993, convertito
 in  legge  n.   63/1993 e nell'art. 18, legge n. 724/1994, ha versato
 all'INPS con riserva di ripetizione la somma di L. 1.082.225.310  (L.
 1.079.824.500 + L. 2.400.810 per interessi).
   Ha  quindi  convenuto  in  giudizio  l'INPS  innanzi  al pretore di
 Brescia  giudice  del  lavoro,  chiedendo  accertarsi  nei  confronti
 dell'ente  l'inesistenza  del debito preteso e condannarsi l'istituto
 convenuto alla restituzione della somma corrisposta.
   L'INPS si e' costituito resistendo alla domanda attorea.
   Con sentenza n. 848/1997 il pretore, ritenendo irrilevante ai  fini
 del  decidere l'intervenuto condono contributivo, e ritenendo doversi
 configurare nei rapporti collaborativi  considerati  nel  verbale  di
 accertamento  INPS  altrettanti  rapporti  di  lavoro  autonomo e non
 subordinato, ha dichiarato  non  dovuti  i  contributi  ed  accessori
 addebitati  dall'ente,  condannando quest'ultimo, a spese compensate,
 alla restituzione in  favore  della  ricorrente  della  somma  di  L.
 1.137.589.310, indebitamente versata.
    Avverso  detta  decisione ha interposto tempestivo appello l'INPS,
 ribadendo il  carattere  subordinato  e  non  autonomo  dei  rapporti
 collaborativi   considerati   nel  verbale  ispettivo,  invocando  il
 principio  di  irripetibilita'  di  quanto  erogato  a   seguito   di
 regolarizzazione   previdenziale,  secondo  la  giurisprudenza  delle
 sezioni unite della Corte di  cassazione,  ed  assumendo  percio'  le
 conclusioni di cui in epigrafe.
   Si e' costituita la parte appellata anzitutto resistendo al gravame
 avversario   sul   presupposto   del  dissenso  rispetto  all'opzione
 ermeneutica adottata dalle sezioni unite ed in subordine eccependo il
 vizio di illegittimita' costituzionale, sotto  diversi  profili,  che
 deriverebbe  dall'attuazione  della  regola  interpretativa  espressa
 nella sentenza n. 4918/1998 della Suprema Corte.
   La causa e' stata discussa e decisa alla pubblica  udienza  del  26
 novembre 1998.
   Il  tribunale,  all'esito di tale discussione, ritiratosi in camera
 di consiglio, ritenendo  rilevante  e  non  manifestamente  infondata
 l'eccezione  sollevata ed a sua volta ravvisando profili ulteriori di
 possibile contrasto con alcuni articoli della  Carta,  ha  emesso  la
 presente ordinanza.
                             D i r i t t o
   L'INPS  ha  riproposto  all'esame  del tribunale la questione degli
 effetti preclusivi della facolta'  di  ripetizione  di  cui  all'art.
 2033 c.c. della procedura di regolarizzazione contributiva; la scuola
 appellata  ha,  in conformita' a quanto gia' riconosciuto dal giudice
 di prime cure, negato siffatto effetto preclusivo.
   Com'e'  noto  in  ordine  a  tale  dibattuta  questione   si   sono
 fronteggiati  due  contrastanti  orientamenti  in  seno alla Corte di
 cassazione: secondo  l'orientamento  prevalente  (Cass.  sentenze  25
 maggio  1995,  n.  5744,  16 aprile 1994, n. 3641, 10 giugno l992, n.
 7103, 27 dicembre 1991, n.  13958,  23  febbraio  1988,  n.  1932,  5
 ottobre  1996,  n.  87309)  la  domanda  di  regolarizzazione  ed  il
 successivo pagamento dei  contributi  e  delle  minori  sanzioni  non
 incide  sul  contenzioso  precedentemente  instaurato, non implicando
 rinuncia tacita alla  domanda  giudiziale  di  accertamento;  secondo
 l'orientamento minoritario (Cass. sentenze 20 ottobre 1987, n. 7739 e
 26 marzo l997, n. 2684) la normativa sulla regolarizzazione agevolata
 degli  inadempimenti contributivi, non diversamente da quella analoga
 in materia tributaria, ha la finalita' essenziale  di  consentire  la
 pronta  esazione  delle somme dovute attinenti all'area della finanza
 pubblica e di  eliminare  il  contenzioso,  con  i  relativi  aggravi
 economici  ed  organizzativi;  quindi,  pur  in  difetto  di espressa
 previsione   di  legge  al  riguardo,  deve  escludersi  la  facolta'
 dell'interessato di apporre  alla  domanda  di  regolarizzazione  una
 riserva relativa all'accertamento giudiziale sull'effettiva esistenza
 del  debito  contributivo:  tale  riserva, se di fatto apposta, resta
 priva di effetti, senza  incidere  sull'efficacia  della  domanda  di
 ammissione ai benefici previsti dalla legge.
   Con  sentenza  n. 4918/1998 le sezioni unite della Suprema Corte di
 cassazione hanno risolto il contrasto  interpretativo  aderendo  alle
 tesi  espresse  nella giurisprudenza minoritaria, facendo leva su una
 serie di argomenti, tra i quali, in sintesi, basta richiamare:
     a)  il  valore  letterale  dell'espressione   "regolarizzazione",
 secondo  il  canone  ermeneutico di cui all'art. 12 disp. prel. C.c.,
 che  rimanda  all'idea  della  definizione,  della  chiusura,   della
 sistemazione  della  pendenza, di per se' incompatibile con qualsiasi
 tipo di strascichi giudiziari;
     b)  le  finalita'  economiche  del  condono,  giacche'  "non   si
 comprende  quale utilita' possa avere l'ente creditore nel ricevere a
 tacitazione della sua pretesa una somma ridotta - e spesso in maniera
 notevole - rispetto a  quella  che  sarebbe  dovuta  in  mancanza  di
 condono,   se   poi  la  somma  dovrebbe  (rectius:  dovesse)  essere
 restituita con l'aggiunta dei frutti e degli interessi  legali  dalla
 domanda di restituzione dell'indebito";
     c)   il  carattere  "premiale"  della  legislazione  di  condono,
 finalizzata dall'"intento di offrire al soggetto obbligato la  scelta
 tra   il   mantenersi   nella  posizione  di  inadempienza,  comunque
 determinata  o  motivata,  ovvero  di  avvalersi  della  facolta'  di
 estinguere  la  propria  posizione  debitoria  mediante  un pagamento
 agevolato ed in  tempi  definiti",  il  che  comporta  la  necessaria
 conseguenza  della estinzione dei giudizi in corso (aventi ad oggetto
 l'esistenza o meno dell'obbligazione contributiva), e la  carenza  di
 interesse  alla  proposizione  di  nuovi  giudizi, non impedita dalla
 mancanza di un'espressa previsione in tal senso nella  legge,  stante
 la  natura  "parafiscale"  dell'obbligazione  contributiva, in quanto
 "prestazione imposta dalla legge a favore di un ente pubblico, per la
 realizzazione di un pubblico interesse e, quindi, qualificabile  come
 "imposta   speciale"",   posto   che   "in   questa   prospettiva  di
 assimilazione dei due tipi di contributi e'  giustificata  l'adozione
 di  sistemi  di  riscossione  simili  a  quelli  propri  del  diritto
 tributario";
     d) la non configurabilita' di un'ipotesi  di  indebito  oggettivo
 nel  pagamento  effettuato  in sede di regolarizzazione contributiva,
 traendo detto pagamento "la sua ragion d'essere proprio nell'opzione,
 da parte del soggetto, che si e' fatto carico di tale pagamento".
     e) la previsione della esclusione delle spese legali,  nonostante
 la  regolarizzazione estingua ogni onere accessorio, che risulterebbe
 del tutto superflua, tenuto conto della regola della soccombenza, ove
 si dovesse ipotizzare la permanenza anziche' l'estinzione dei giudizi
 in corso.
   La disciplina degli effetti del condono previdenziale,  cosi'  come
 accolta  dalla  giurisprudenza  delle sezioni unite della Cassazione,
 ovviamente  applicabile   in   ogni   ipotesi   di   regolarizzazione
 contributiva,  e  quindi  anche per quella considerata negli artt. 4,
 commi 1, 2, 3 e 4, d.-l. 6/1993, convertito in legge n. 63/1993 e 18,
 commi 1, 2, 3 e 4, legge  n.  724/1994,  deve  ritenersi  applicabile
 anche   al   caso  in  esame,  intendendo  il  tribunale  uniformarsi
 all'impostazione interpretativa espressa nella sentenza n. 4918/1998,
 frutto  di   un'approfondita   e   ponderata   considerazione   della
 fattispecie,  e  resa  a  risoluzione  di un contrasto interpretativo
 precedentemente manifestatosi nella giurisprudenza di legittimita', e
 percio  nell'esercizio  della  funzione,  propria  della  Cassazione,
 secondo il disposto dell'art. 65 del r.d.  30 gennaio 1941, n. 12, di
 assicurare  l'esatta  osservanza  e  l'uniforme interpretazione della
 legge e l'unita'  del  diritto  oggettivo  nazionale  (il  cosiddetto
 potere-dovere di "nomofilachia" della Suprema Corte).
   A  cio'  consegue che, non potendosi percio' condividere le diverse
 ipotesi interpretative prospettate dal giudice di prime cure e  dalla
 parte  appellata,  l'applicazione  del  diritto oggettivo vigente non
 potrebbe che  condurre  al  rigetto  della  domanda  di  accertamento
 negativo  dell'obbligo contributivo e di condanna alla ripetizione di
 quanto corrisposto in attuazione del condono previdenziale.
   Emergono tuttavia dubbi circa  la  legittimita'  costituzionale  di
 tale  soluzione,  come  esattamente  eccepito  da parte appellata per
 contrasto delle norme di cui agli artt. 4, commi 1, 2, 3  e  4  d.-l.
 6/1993,  convertito  in legge 63/1993 e dell'art. 18, commi 1, 2, 3 e
 4, legge n. 724/1994 con il disposto di cui agli artt. 3, 53, 24, 23,
 38 e 97 della Costituzione, per i profili che seguono.
   1.  -  Le  disposizioni  in  materia  di   condono   previdenziale,
 interpretate   nel  senso  sopra  riportato,  appaiono  anzitutto  in
 contrasto col principio  di  uguaglianza  di  cui  all'art.  3  della
 Costituzione,  non  essendovi  alcuna ragionevole giustificazione per
 assimilare gli effetti del condono previdenziale a quelli del condono
 fiscale, sotto il  profilo  delle  conseguenti  preclusioni,  pur  in
 assenza di norme che tale equiparazione prevedano e pur in assenza di
 norme  che  sanciscano,  anche  per la regolarizzazione contributiva,
 l'estinzione dei giudizi in corso, nonostante la radicale  diversita'
 delle  due ipotesi di condono, in quanto mentre il condono tributario
 prevede  l'esonero   dall'integrale   adempimento   dell'obbligazione
 impositiva,    essendone    consentita    una    riduzione   rispetto
 all'imponibile accertato d'ufficio o consentendosi la  determinazione
 di    quest'ultimo    a   prescindere   dall'obiettivo   accertamento
 dell'effettiva capacita' contributiva (art. 53  della  Costituzione),
 al  contrario  il  condono  previdenziale  comporta l'obbligo, per il
 datore di lavoro, il quale  si  avvalga  di  esso,  di  integralmente
 adempiere  all'intera  obbligazione  contributiva,  restando peraltro
 esposto alle eventuali  ulteriori  pretese  contributive  che  l'ente
 previdenziale  puo'  vantare con riguardo alle stesse partite oggetto
 del condono, con riduzione delle  sole  sanzioni  (cioe'  delle  sole
 somme aggiuntive).
   2.  -  Le  anzidette  disposizioni, intese nel senso espresso dalle
 sezioni unite, arrecano inoltre, per un verso, una lesione al diritto
 di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione e, per  altro  verso,
 anche   al   principio   di  uguaglianza  di  cui  all'art.  3  della
 Costituzione:  anzitutto l'impossibilita' di accertare giudizialmente
 l'inesistenza del debito contributivo,  una  volta  che  quest'ultimo
 risulti  soddisfatto  in  attuazione  del  condono,  pare contrastare
 direttamente con la disciplina di cui all'art. 24 della Costituzione,
 per violazione del principio per cui tutti possono agire in  giudizio
 per  la  tutela  dei  loro  diritti  e  interessi;  in  secondo luogo
 determina  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra le due
 parti del rapporto obbligatorio previdenziale,  in  quanto  cio'  che
 viene  negato  al soggetto debitore risulta viceversa riconosciuto al
 creditore, dal momento che all'ente previdenziale  resta  pur  sempre
 riconosciuto il diritto di far accertare al giudice l'esistenza di un
 debito maggiore di quello soddisfatto.
   3.  -  Le  disposizioni  in considerazione, come interpretate dalle
 sezioni unite, appaiono altresi' in contrasto col combinato  disposto
 degli  artt.  3 e 24 della Costituzione, non potendosi trovare alcuna
 ragionevole giustificazione alla diversita' di trattamento tra  colui
 il   quale   chieda   l'accertamento  negativo  e  la  condanna  alla
 ripetizione dopo  aver  pagato  integralmente  quanto  richiesto  per
 capitale  ed  accessori e colui il quale, invece, scelga di avvalersi
 delle modalita' solutorie previste  nella  legislazione  relativa  al
 condono  previdenziale,  potendo soltanto il primo, e non il secondo,
 richiedere    ed     ottenere     l'accertamento     dell'inesistenza
 dell'obbligazione   contributiva   e   la   condanna  dell'ente  alla
 ripetizione.
   Tale diversita' di trattamento, tale  da  negare  al  soggetto  che
 abbia  adempiuto  mediante  il  condono,  l' esercizio del diritto di
 difesa, non puo' infatti trovare razionale giustificazione:
     ne' nell'interesse dell'ente  previdenziale,  il  quale  potrebbe
 correlativamente  vedersi  obbligato  ad effettuare le corrispondenti
 prestazioni pensionistiche (presumibilmente di importo  superiore  al
 vantaggio  ricavato  dall'acquisizione  dei  contributi),  nonostante
 esse, in assenza dei relativi  presupposti  di  legge,  risultino  in
 ipotesi non dovute;
     ne'  nella  stessa possibilita' del soggetto, non avvalendosi del
 condono, di mantenere integri i propri diritti processuali,  giacche'
 per  un  verso tale possibilita' non giustifica da sola la diversita'
 di trattamento tra le  due  situazioni,  e  per  altro  verso  impone
 surrettiziamente  al  soggetto  pretesamente  obbligato  una sorta di
 condizione, solve et repete, in contrasto  con  i  principi  espressi
 dalla Corte costituzionale nella sentenza 31 marzo 1961, n. 21.
   4.  - Le norme in tema di regolarizzazione contributiva, come sopra
 intese, sembrano  altresi'  contrastare  con  la  disciplina  di  cui
 all'art.    38  della  Costituzione,  che  configura  il diritto alle
 prestazioni previdenziali in connessione  non  alla  libera  volonta'
 delle  parti di costituirsi o meno una posizione assicurativa, bensi'
 all'effettivita'   della   condizione   (di   lavoro)    legittimante
 l'assoggettamento al regime delle assicurazioni sociali.
   Ne  consegue  che  l'irripetibilita'  delle  somme  versate  con il
 condono, ove non  risulti  esistente  il  debito  contributivo,  puo'
 determinare  l'erogazione di prestazioni previdenziali non dovute con
 ingiustificata  disparita'  di  trattamenti   previdenziali   per   i
 lavoratori  non  in  funzione  della  diversita' delle corrispondenti
 prestazioni  lavorative,  bensi'  del  differente  comportamento  del
 soggetto  richiedente la prestazione, con conseguente violazione pure
 dell'art. 3 della Costituzione.
   5. - Corrispondentemente le disposizioni sul condono previdenziale,
 cosi' interpretate, appaiono anche contraddire al principio  espresso
 nell'art.   23   della   Costituzione,   secondo  il  quale  "nessuna
 prestazione personale o patrimoniale puo' essere imposta  se  non  in
 base   alla   legge":   l'impossibilita'  di  accertare  in  giudizio
 l'inesistenza  dell'obbligo  contributivo,  per  il  quale  e'  stato
 esercitato  il  condono,  finisce  infatti  per  attribuire  all'ente
 previdenziale   il   potere   di   creare  una  situazione  debitoria
 definitiva, ancorche' inesistente, limitandosi a  non  respingere  la
 domanda  di  condono  ed  omettendo  di  verificarne  l'esistenza dei
 presupposti di legge.
   D'altronde, non puo' presumersi che l'ente previdenziale, in quanto
 ente pubblico e come tale tenuto al principio di imparzialita'  (art.
 97  della  Costituzione)  debba per cio' stesso sempre effettuare una
 valutazione corretta e quindi insindacabile dell'esistenza o no di un
 debito contributivo, non potendosi neppure ipotizzare che  l'ente,  a
 fronte  del gran numero di domande di condono ricevute in un limitato
 lasso di tempo, possa eseguire un  esame  approfondito  e  tempestivo
 della fondatezza della richiesta di regolarizzazione.
   In   tal   modo  si  finisce,  peraltro,  per  attribuire  all'ente
 previdenziale il potere-dovere di accertare i diritti  del  cittadino
 (tra  i  quali  vi  e'  certamente  quello  di  non pagare contributi
 previdenziali non dovuti), che e' per norma costituzionale (art.  24)
 riservato al giudice ordinario.
   6.  -  Le disposizioni in tema di condono, come sopra interpretate,
 sembrano infine contrastare con il principio di  uguaglianza  di  cui
 all'art. 3 e con il diritto di difesa di cui all'art. 24 nell'ipotesi
 in  cui dovesse intervenire in seguito una disposizione di legge che,
 in  sede  di  interpretazione  autentica,  e  quindi  con   efficacia
 retroattiva  avesse  ad escludere l'assoggettabilita' a contribuzione
 previdenziale di  una  erogazione  per  la  quale,  fino  ad  allora,
 quell'assoggettabilita'  era controversa. Si verrebbe a verificare in
 tal caso un'ulteriore inammissibile discriminazione, non  potendo  il
 datore  di  lavoro, il quale aveva ritenuto di avvalersi del condono,
 ottenere  la  ripetizione  di  quanto  versato,  mentre  chi   avesse
 rifiutato   di  versare  i  contributi  si  vedrebbe  definitivamente
 esentato da ogni  responsabilita'  nei  confronti  dell'ente  e  chi,
 invece,  avesse  versato  per  intero i contributi, potrebbe comunque
 utilmente richiederne la restituzione.
   Ai motivi di incostituzionalita' sollevati con eccezione di  parte,
 da  ritenersi  non manifestamente infondati, apparendo ragionevoli le
 obiezioni sopra riportate, il tribunale ritiene di  poterne  ex  art.
 23,  legge  costituzionale  citata,  aggiungere  uno  ulteriore,  per
 contrasto delle disposizioni in tema di condono  previdenziale,  come
 interpretate nella sentenza n. 4918/1998 col combinato disposto degli
 artt.  3,  24 e 38 della Costituzione, per le ipotesi (tra cui quella
 di specie) in cui il condono sia destinato a chiudere la controversia
 tra ente previdenziale e soggetto gravato dall'addebito  contributivo
 in  relazione all'accertamento da parte dell'ente previdenziale della
 sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, non denunciato, tra
 il soggetto pretesamente obbligato ed una terza persona  (il  preteso
 lavoratore subordinato).
   Nell'ordinamento  vigente  e' la sussistenza del rapporto di lavoro
 subordinato  che  costituisce  ope  legis  la  correlativa  posizione
 previdenziale  a  beneficio  del lavoratore (come creditore dell'ente
 previdenziale da subito per le prestazioni assicurative ed in  futuro
 per le prestazioni pensionistiche).
   Tale  posizione  -  si noti - prescinde, in virtu' del principio di
 automatismo di cui  all'art.  2116  c.c.,  addirittura  dall'avvenuto
 adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi contributivi
 a suo carico.
   Per  contro,  non  puo'  costituirsi a favore di un soggetto alcuna
 valida  posizione  previdenziale  per  il  solo  fatto  dell'avvenuto
 versamento  dei  corrispondenti contributi da parte di altro soggetto
 che pretenda, contro la realta' e percio' fittiziamente,  di  esserne
 datore di lavoro, posto che ai sensi dell'art. 8 d.P.R. n. 818/1957 i
 contributi  indebitamente  versati  non sono computabili agli effetti
 del diritto alle prestazioni, ove  e'  evidente  che  per  contributi
 indebitamente  versati  ci  si intende riferire ai contributi versati
 nonostante  l'inesistenza  del   rapporto   sostanziale   di   lavoro
 subordinato  che  ne  costituisce  il  presupposto  di validita' e di
 efficacia.
    L'obbligazione contributiva sorge percio' per effetto di  legge  a
 carico   del   datore  di  lavoro  automaticamente  a  seguito  della
 instaurazione del rapporto di lavoro subordinato.
   L'adempimento dell'obbligazione contributiva trova percio'  la  sua
 unica  causa,  in  ipotesi  di  lavoro  subordinato,  nel diritto del
 lavoratore ex art.  38,  c.p.v.,  della  Costituzione,  a  che  siano
 provveduti  ed assicurati mezzi adeguati alle sue esigenze di vita in
 caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia, disoccupazione
 involontaria.
   Non  puo'  per  contro  ipotizzarsi  alcuna  altra   funzione   del
 contributo   previdenziale   che  non  sia  quella  di  garantire  al
 lavoratore, cioe'  al  lavoratore  per  il  quale  viene  effettuata,
 l'esercizio  di  quei  diritti  che  la  stessa  Costituzione,  ed in
 attuazione della  stessa,  le  leggi  previdenziali,  prevedono  come
 dovuti in suo favore.
   Non puo' percio' darsi causa sufficiente per la giustificazione del
 sacrificio   patrimoniale   (per   il  datore  di  lavoro)  derivante
 dall'assoggettamento  all'obbligazione  contributiva  se  non  quella
 della correlativa costituzione (in favore del lavoratore subordinato)
 dei  corrispondenti  diritti  previdenziali,  in  una  parola,  della
 corrispondente posizione assicurativa.
   Se il pagamento del contributo non garantisce tale  finalita',  non
 assolve  a  tale funzione, esso non puo' che essere privo di causa, e
 percio' indebito, indipendentemente dal fatto che venga effettuato in
 forma  ordinaria,  ovvero  mediante  il  ricorso  alla  procedura  di
 regolarizzazione,  che  -  giova  ricordarlo  - consente la riduzione
 delle somme aggiuntive, ma comunque postula il pagamento  per  intero
 del debito contributivo.
   L'ente previdenziale mantiene infatti la facolta' di accertare, nei
 confronti   del   lavoratore,   l'invalidita'   della  sua  posizione
 pensionistica per l'inesistenza del rapporto di lavoro subordinato.
   Nonostante l'intervenuta impossibilita' per il  preteso  datore  di
 lavoro  di  ottenere la ripetizione di quanto corrisposto a titolo di
 contribuzione  obbligatoria   (avendo   beneficiato   del   condono),
 cionondimeno  l'ente  previdenziale puo' quindi pur sempre opporre al
 lavoratore  l'accertamento  (contrario  rispetto  a  quello  posto  a
 fondamento  dell'addebito al datore di lavoro) dell'invalidita' della
 posizione  previdenziale  per  inesistenza  del  rapporto  di  lavoro
 subordinato che ne costituisce il necessario presupposto.
   Tale  conclusione  appare ictu oculi in contrasto sia col principio
 di cui all'art. 24 della Costituzione, non meno che con quello di cui
 all'art. 3  della  Costituzione,  realizzando  un  rovesciamento  del
 principio  dell'automatismo  (cui  sopra si e' fatto cenno), tale per
 cui  al  lavoratore  non  spetterebbe   la   prestazione   nonostante
 l'irreversibilita'  dell'adempimento contributivo da parte del datore
 di lavoro.
   Il  primo  argomento  addotto  dalla  Suprema  Corte   per   negare
 fondatezza  alla  questione  di  costituzionalita'  nei termini sopra
 indicati pare infatti non condivisibile.
   La sentenza n. 4918/1998 al fine sottolinea il valore non assoluto,
 in materia previdenziale, della regola secondo cui  l'ente  non  puo'
 trattenere  somme  non dovute (ricavando l'inesistenza di tale valore
 assoluto dall'art. 8 d.P.R. n. 818/1957, laddove  esso  afferma  che,
 trascorsi  cinque  anni  dall'accertamento  dell'addebito,  le  somme
 restano   definitivamente   acquisite   alle    gestioni    dell'ente
 previdenziale):    tale  rilievo  non  coglie  tuttavia nel segno: la
 disposizione  richiamata  non  vale  infatti  a  negare   il   legame
 inscindibile  tra  contribuzione e prestazione nell'unitario rapporto
 giuridico previdenziale, ma all'evidenza ha soltanto la ben  diversa,
 e  piu'  circoscritta, funzione di dare certezza allo stesso rapporto
 giuridico previdenziale (ed al rapporto di lavoro subordinato che  ne
 costituisce    il   presupposto),   stabilendo   che   l'assenza   di
 contestazioni  da  parte  del  preteso   obbligato   per   un   tempo
 ragionevolmente  lungo (cinque anni) ne fa presumere juris et de jure
 la sussistenza.
   La norma in considerazione ha percio' una funzione analoga a  tutte
 le altre norme che nell'ordinamento collegano la permanenza in vigore
 di  un  diritto  (nel  nostro caso, all'accertamento dell'inesistenza
 dell'obbligazione  contributiva)  al  suo  esercizio   in   un   arco
 delimitato  di  tempo  (come  quelle  in  tema  di  prescrizione o di
 decadenza), norme che in nessun ambito  dell'ordinamento  valgono  ad
 attribuire  un  minor  valore  giuridico al diritto soggettivo cui si
 riferiscono.
   Poiche' nel caso in esame la  contestazione  dell'addebito  risulta
 essere  stata  tempestivamente  e  chiaramente espressa, e poiche' il
 pagamento e' stato effettuato con espressa  riserva  di  ripetizione,
 non  puo'  utilmente farsi richiamo alla regola di consolidamento del
 pagamento per mancata  contestazione  dell'addebito  nel  termine  di
 legge  per  inferirne  l'impossibilita' di un successivo accertamento
 negativo.
   Il versamento all'ente previdenziale di somme di denaro a titolo di
 contributi previdenziali, in assenza di  valida  posizione  giuridica
 previdenziale  -  a  favore  del  terzo  lavoratore subordinato - cui
 riferirlo,  costituisce  percio'  comunque  indebito  oggettivo,  non
 essendovi    nell'ordinamento    giustificazione    alcuna   per   il
 corrispondente  spostamento  patrimoniale,  e  cio'  anche  se  viene
 effettuato nel contesto della procedura di regolarizzazione.
    La     rinuncia    all'accertamento    della    natura    indebita
 dell'adempimento contributivo, che secondo  la  giurisprudenza  delle
 sezioni  unite  deriverebbe,  per  effetto di legge, dalla domanda di
 condono previdenziale,  finisce  cosi'  col  creare  -  nel  rapporto
 giuridico  previdenziale  scaturente  dall'addebito mosso dall'ente a
 carico di un soggetto in quanto datore di lavoro di altro soggetto  -
 un  notevole  disequilibrio delle posizioni sostanziali e processuali
 tra le parti.
   Nell'ambito,  infatti,  di  tale pur unitario rapporto, nel quale -
 giova  ripeterlo  -  la  sussistenza  di  crediti  ed  obblighi   tra
 beneficiario  ed  ente  previdenziale,  cosi' come tra quest'ultimo e
 soggetto debitore, trae origine dall'effettivita' dell'esistenza  del
 rapporto di lavoro subordinato, per effetto del condono previdenziale
 permane il diritto all'accertamento di tale effettivita' (cioe' della
 subordinazione    del   rapporto)   soltanto   a   favore   dell'ente
 previdenziale (e del lavoratore pretesamente subordinato) e non anche
 invece a favore del datore di lavoro, al  quale  solo  e'  negata  la
 possibilita' dell'accertamento giudiziale relativo alla sussistenza o
 meno  della  sua obbligazione contributiva (in relazione al carattere
 subordinato o no del rapporto collaborativo  intercorso  con  l'altro
 soggetto).
   A parere del tribunale cio' comporta la violazione del principio di
 uguaglianza,  per  l'ingiustificata  disparita' di trattamento tra le
 diverse parti del rapporto giuridico previdenziale, e nel contempo la
 violazione  del  diritto  di  difesa,  essendo  consentito   all'ente
 l'accertamento  giudiziale  dell'inesistenza  del  rapporto di lavoro
 subordinato (per opporre al lavoratore l'inesistenza dei  correlativi
 crediti  da  lui  corrispondentemente  vantati), mentre e' vietato al
 datore  di  lavoro  il  medesimo  accertamento,   per   ottenere   la
 restituzione dei contributi indebitamente versati.
   Tale  conclusione non puo' peraltro ritenersi inibita dal carattere
 volontario e non  coattivo  dell'adempimento  a  seguito  di  condono
 previdenziale,   trattandosi  di  elemento  -  la  volontarieta'  del
 pagamento - proprio di ogni ipotesi di  pagamento  indebito,  e  come
 tale  non  sufficiente  di  per  se'  a  far  ritenere  razionalmente
 giustificata     l'impossibilita'     dell'accertamento      negativo
 dell'esistenza dell'obbligazione e della richiesta di ripetizione.
   L'irripetibilita'  di  quanto versato a titolo contributivo in sede
 di condono, con facolta' tuttavia per l'ente previdenziale di  negare
 al  preteso  assicurato  la prestazione previdenziale o pensionistica
 per carenza dei relativi presupposti sostanziali, realizza in realta'
 un'ipotesi di atto solutorio  dotato  in  se'  di  propria  esclusiva
 causa,  costituita  dalla  soddisfazione delle esigenze di deflazione
 giudiziaria e di facilitazione del recupero dei crediti contributivi.
   Tale causa, tuttavia, non puo' ritenersi sufficiente  a  sorreggere
 la definitivita' del pagamento per lo meno in tutte le ipotesi in cui
 non  risulti  possibile  con  esso  cristallizzare  il corrispondente
 rapporto  giuridico  previdenziale,   consolidando   a   favore   del
 correlativo beneficiario la conseguente posizione pensionistica.
   Posto  che siffatto risultato non pare raggiungibile, permanendo la
 facolta' dell'ente di ridiscutere quest'ultima,  le  disposizioni  di
 legge  in  tema  di  condono  contributivo,  interpretate  nel  senso
 dell'impossibilita'  per  il  solvens  di  ottenere  la  ripetizione,
 appaiono  in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione per le
 ragioni che precedono.
    Tale situazione, infatti, si differenzia nettamente da quella  del
 condono   tributario,  giacche'  con  questo  l'obbligazione  fiscale
 risulta  tra  le  parti  del   rapporto   d'imposta   definitivamente
 consolidata nei termini derivanti dall'adesione al beneficio.
   Occorre  soltanto aggiungere che la questione di costituzionalita',
 da cio' derivante, non puo' essere  elusa  con  l'argomento  proposto
 dalle  sezioni  unite,  secondo  cui non potrebbe darsi la situazione
 sopra considerata (di pagamento contributivo  in  assenza  di  lavoro
 subordinato  e,  quindi,  di  obbligazione  previdenziale), posto che
 l'ente previdenziale puo' sempre opporre un rifiuto alla richiesta di
 condono proveniente dalla parte: a prescindere,  infatti,  dalla  pur
 assorbente     considerazione     che    tale    argomento    finisce
 inaccettabilmente     con     il     presupporre      l'effettuazione
 dell'accertamento  in  virtu'  della  sua doverosita', va soprattutto
 fatto notare che assai di frequente l'addebito mosso col  verbale  di
 accertamento  trae  origine dalla decisione degli ispettori dell'ente
 previdenziale di negare il carattere autonomo assegnato  dalle  parti
 private   ai   rapporti   collaborativi   tra   loro  intercorsi;  in
 conseguenza, ove il preteso datore di lavoro intendesse regolarizzare
 la propria posizione mediante il pagamento agevolato, senza  peraltro
 rinunciare  all'accertamento  giudiziale dell'inesistenza dei pretesi
 rapporti di lavoro subordinato, non sussisterebbe ragione alcuna  per
 il  rifiuto da parte dell'ente del pagamento di quanto accertato come
 dovuto proprio sulla base della sua qualificazione  dei  rapporti  di
 lavoro in contestazione: in altre parole, per negare il beneficio del
 condono, l'ente previdenziale dovrebbe smentire se stesso, negando la
 fondatezza  degli  accertamenti  compiuti nel verbale col quale aveva
 contestato l'addebito.
   Cio' dimostra che, anche a  prescindere  dai  rilievi  a  carattere
 formale   circa   la   riserva   della   giurisdizione  all'autorita'
 giudiziaria  ordinaria  anche  in  tema  di   accertamento   negativo
 dell'obbligazione previdenziale, cionondimeno la valutazione da parte
 dell'ente  della  sussistenza dell'obbligazione contributiva non puo'
 rappresentare  una  valida  premessa  per  giustificare  l'esclusione
 dell'accertamento  giudiziale,  giacche'  tale  dato  costituisce  al
 contrario l'antecedente storico necessario (o di  solito  necessario)
 perche'  il  soggetto  che  si ritiene obbligato decida di estinguere
 l'obbligazione contestatagli, pur con  tutte  le  riserve  del  caso,
 valendosi  delle  agevolazioni  derivanti dalla legislazione premiale
 del condono.
   L'accettazione  della  domanda  di  condono,   peraltro   implicita
 nell'effettuazione  senza contestazione dei relativi adempimenti, non
 puo'  percio',  neppure  sul  piano   di   mero   fatto,   sostituire
 l'accertamento   da  parte  del  giudice  della  sussistenza  o  meno
 dell'obbligazione contributiva, per mezzo  della  verifica  circa  il
 carattere  subordinato  o  meno  dei  rapporti collaborativi presi in
 considerazione nel verbale  di  accertamento  a  carico  del  preteso
 datore  di  lavoro,  ragion per cui l'interpretazione impostasi nella
 giurisprudenza di legittimita' in ordine agli effetti preclusivi  del
 condono  previdenziale  non  puo'  non  lasciare  seri dubbi circa la
 compatibilita' con la costituzione,  e  soprattutto  col  diritto  di
 difesa di cui all'art. 24, delle conseguenze che ne derivano.
   L'eventuale accoglimento delle censure di incostituzionalita' sopra
 esposte  e'  all'evidenza  di  massimo  rilievo ai fini del decidere,
 giacche' costituisce il principale presupposto per  poter  verificare
 la  fondatezza  nel  merito  della  domanda  di accertamento negativo
 dell'esistenza dell'obbligazione  contributiva  e  di  condanna  alla
 ripetizione  di  quanto  a titolo contributivo ad esso corrisposto in
 esecuzione  del  condono.    Ne  deriva,  stante  la  non   manifesta
 infondatezza  dei  rilievi  di  incostituzionalita', l'obbligo per il
 tribunale, ai sensi dell'art.  23, legge costituzionale n. 1/1953, di
 trasmettere gli atti alla Corte costituzionale  e  di  sospendere  il
 giudizio in corso.  La presente ordinanza dovra' essere, a cura della
 cancelleria,  notificata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.