IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa d'appello iscritta al ruolo generale degli affari civili contenziosi dell'anno 1998 al n. 6198 promossa con ricorso depositato in data 15 luglio 1998 dall'Istituto nazionale della previdenza sociale - I.N.P.S. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giorgio Lauria, Giovanni Melluso, Oreste Manzi e Alfonso Faienza, in forza di procura generale alle liti per rogito notaio Lupo in Roma rispettivamente n. 22847 del 7 ottobre 1993, n. 22889 del 7 ottobre 1993, n. 22875 del 7 ottobre 1993 e n. 23541 del 3 gennaio 1994, tutte depositate in cancelleria, appellante; Contro la Scuola edile bresciana, in persona del suo legale rappresentante geom. Donati Franco, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Mattia Persiani e Michele Tursi, presso quest'ultimo elettivamente domiciliata in Brescia, via Corfu', 94, per mandato a margine del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, appellato; Avente ad oggetto: appello avverso sentenza n. 848/1997 del pretore di Brescia g.d.l. in materia di domanda di accertamento negativo di obbligazione contributiva e di condanna alla ripetizione di quanto a tale titolo corrisposto a seguito di procedura di regolarizzazione previdenziale. F a t t o Con verbale di accertamento del 7 aprile 1993, relativo alla visita effettuata presso la sede legale della Scuola edile bresciana, sita in Brescia, via Garzetta n. 51, l'INPS di Brescia ha contestato la posizione di lavoratore autonomo di una serie di lavoratori, legati alla Scuola da contratto di collaborazione continuativa e coordinata non subordinata, ritenendo che le caratteristiche e le modalita' d'esecuzione della prestazione da loro effettuata dovessero ritenersi proprie del lavoro subordinato. L'ente previdenziale ha percio' addebitato alla scuola una serie di importi, e precisamente: a) per omesso versamento di contributi da lavoro subordinato per i lavoratori di cui sopra L. 710.114.000; b) per trattenute sulla pensione di alcuni dei predetti lavoratori, non dovuta stante la permanenza di rapporto di lavoro subordinato in corso, la somma di L. 55.364.000, oltre quanto dovuto ai sensi dell'art. 40 d.P.R. n. 488/1968; c) per omesso versamento contributivo sull'imponibile relativo alle prestazioni assistenziali erogate, la somma di 9.769.000. In totale, per contributi non versati, trattenute, sanzioni amministrative e somme aggiuntive ha cosi' addebitato alla scuola l'importo di L. 1.857.257.000. La Scuola edile bresciana, avvalendosi delle procedure di regolarizzazione contemplate nell'art. 4, d.-l. n. 6/1993, convertito in legge n. 63/1993 e nell'art. 18, legge n. 724/1994, ha versato all'INPS con riserva di ripetizione la somma di L. 1.082.225.310 (L. 1.079.824.500 + L. 2.400.810 per interessi). Ha quindi convenuto in giudizio l'INPS innanzi al pretore di Brescia giudice del lavoro, chiedendo accertarsi nei confronti dell'ente l'inesistenza del debito preteso e condannarsi l'istituto convenuto alla restituzione della somma corrisposta. L'INPS si e' costituito resistendo alla domanda attorea. Con sentenza n. 848/1997 il pretore, ritenendo irrilevante ai fini del decidere l'intervenuto condono contributivo, e ritenendo doversi configurare nei rapporti collaborativi considerati nel verbale di accertamento INPS altrettanti rapporti di lavoro autonomo e non subordinato, ha dichiarato non dovuti i contributi ed accessori addebitati dall'ente, condannando quest'ultimo, a spese compensate, alla restituzione in favore della ricorrente della somma di L. 1.137.589.310, indebitamente versata. Avverso detta decisione ha interposto tempestivo appello l'INPS, ribadendo il carattere subordinato e non autonomo dei rapporti collaborativi considerati nel verbale ispettivo, invocando il principio di irripetibilita' di quanto erogato a seguito di regolarizzazione previdenziale, secondo la giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, ed assumendo percio' le conclusioni di cui in epigrafe. Si e' costituita la parte appellata anzitutto resistendo al gravame avversario sul presupposto del dissenso rispetto all'opzione ermeneutica adottata dalle sezioni unite ed in subordine eccependo il vizio di illegittimita' costituzionale, sotto diversi profili, che deriverebbe dall'attuazione della regola interpretativa espressa nella sentenza n. 4918/1998 della Suprema Corte. La causa e' stata discussa e decisa alla pubblica udienza del 26 novembre 1998. Il tribunale, all'esito di tale discussione, ritiratosi in camera di consiglio, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione sollevata ed a sua volta ravvisando profili ulteriori di possibile contrasto con alcuni articoli della Carta, ha emesso la presente ordinanza. D i r i t t o L'INPS ha riproposto all'esame del tribunale la questione degli effetti preclusivi della facolta' di ripetizione di cui all'art. 2033 c.c. della procedura di regolarizzazione contributiva; la scuola appellata ha, in conformita' a quanto gia' riconosciuto dal giudice di prime cure, negato siffatto effetto preclusivo. Com'e' noto in ordine a tale dibattuta questione si sono fronteggiati due contrastanti orientamenti in seno alla Corte di cassazione: secondo l'orientamento prevalente (Cass. sentenze 25 maggio 1995, n. 5744, 16 aprile 1994, n. 3641, 10 giugno l992, n. 7103, 27 dicembre 1991, n. 13958, 23 febbraio 1988, n. 1932, 5 ottobre 1996, n. 87309) la domanda di regolarizzazione ed il successivo pagamento dei contributi e delle minori sanzioni non incide sul contenzioso precedentemente instaurato, non implicando rinuncia tacita alla domanda giudiziale di accertamento; secondo l'orientamento minoritario (Cass. sentenze 20 ottobre 1987, n. 7739 e 26 marzo l997, n. 2684) la normativa sulla regolarizzazione agevolata degli inadempimenti contributivi, non diversamente da quella analoga in materia tributaria, ha la finalita' essenziale di consentire la pronta esazione delle somme dovute attinenti all'area della finanza pubblica e di eliminare il contenzioso, con i relativi aggravi economici ed organizzativi; quindi, pur in difetto di espressa previsione di legge al riguardo, deve escludersi la facolta' dell'interessato di apporre alla domanda di regolarizzazione una riserva relativa all'accertamento giudiziale sull'effettiva esistenza del debito contributivo: tale riserva, se di fatto apposta, resta priva di effetti, senza incidere sull'efficacia della domanda di ammissione ai benefici previsti dalla legge. Con sentenza n. 4918/1998 le sezioni unite della Suprema Corte di cassazione hanno risolto il contrasto interpretativo aderendo alle tesi espresse nella giurisprudenza minoritaria, facendo leva su una serie di argomenti, tra i quali, in sintesi, basta richiamare: a) il valore letterale dell'espressione "regolarizzazione", secondo il canone ermeneutico di cui all'art. 12 disp. prel. C.c., che rimanda all'idea della definizione, della chiusura, della sistemazione della pendenza, di per se' incompatibile con qualsiasi tipo di strascichi giudiziari; b) le finalita' economiche del condono, giacche' "non si comprende quale utilita' possa avere l'ente creditore nel ricevere a tacitazione della sua pretesa una somma ridotta - e spesso in maniera notevole - rispetto a quella che sarebbe dovuta in mancanza di condono, se poi la somma dovrebbe (rectius: dovesse) essere restituita con l'aggiunta dei frutti e degli interessi legali dalla domanda di restituzione dell'indebito"; c) il carattere "premiale" della legislazione di condono, finalizzata dall'"intento di offrire al soggetto obbligato la scelta tra il mantenersi nella posizione di inadempienza, comunque determinata o motivata, ovvero di avvalersi della facolta' di estinguere la propria posizione debitoria mediante un pagamento agevolato ed in tempi definiti", il che comporta la necessaria conseguenza della estinzione dei giudizi in corso (aventi ad oggetto l'esistenza o meno dell'obbligazione contributiva), e la carenza di interesse alla proposizione di nuovi giudizi, non impedita dalla mancanza di un'espressa previsione in tal senso nella legge, stante la natura "parafiscale" dell'obbligazione contributiva, in quanto "prestazione imposta dalla legge a favore di un ente pubblico, per la realizzazione di un pubblico interesse e, quindi, qualificabile come "imposta speciale"", posto che "in questa prospettiva di assimilazione dei due tipi di contributi e' giustificata l'adozione di sistemi di riscossione simili a quelli propri del diritto tributario"; d) la non configurabilita' di un'ipotesi di indebito oggettivo nel pagamento effettuato in sede di regolarizzazione contributiva, traendo detto pagamento "la sua ragion d'essere proprio nell'opzione, da parte del soggetto, che si e' fatto carico di tale pagamento". e) la previsione della esclusione delle spese legali, nonostante la regolarizzazione estingua ogni onere accessorio, che risulterebbe del tutto superflua, tenuto conto della regola della soccombenza, ove si dovesse ipotizzare la permanenza anziche' l'estinzione dei giudizi in corso. La disciplina degli effetti del condono previdenziale, cosi' come accolta dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Cassazione, ovviamente applicabile in ogni ipotesi di regolarizzazione contributiva, e quindi anche per quella considerata negli artt. 4, commi 1, 2, 3 e 4, d.-l. 6/1993, convertito in legge n. 63/1993 e 18, commi 1, 2, 3 e 4, legge n. 724/1994, deve ritenersi applicabile anche al caso in esame, intendendo il tribunale uniformarsi all'impostazione interpretativa espressa nella sentenza n. 4918/1998, frutto di un'approfondita e ponderata considerazione della fattispecie, e resa a risoluzione di un contrasto interpretativo precedentemente manifestatosi nella giurisprudenza di legittimita', e percio nell'esercizio della funzione, propria della Cassazione, secondo il disposto dell'art. 65 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, di assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge e l'unita' del diritto oggettivo nazionale (il cosiddetto potere-dovere di "nomofilachia" della Suprema Corte). A cio' consegue che, non potendosi percio' condividere le diverse ipotesi interpretative prospettate dal giudice di prime cure e dalla parte appellata, l'applicazione del diritto oggettivo vigente non potrebbe che condurre al rigetto della domanda di accertamento negativo dell'obbligo contributivo e di condanna alla ripetizione di quanto corrisposto in attuazione del condono previdenziale. Emergono tuttavia dubbi circa la legittimita' costituzionale di tale soluzione, come esattamente eccepito da parte appellata per contrasto delle norme di cui agli artt. 4, commi 1, 2, 3 e 4 d.-l. 6/1993, convertito in legge 63/1993 e dell'art. 18, commi 1, 2, 3 e 4, legge n. 724/1994 con il disposto di cui agli artt. 3, 53, 24, 23, 38 e 97 della Costituzione, per i profili che seguono. 1. - Le disposizioni in materia di condono previdenziale, interpretate nel senso sopra riportato, appaiono anzitutto in contrasto col principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, non essendovi alcuna ragionevole giustificazione per assimilare gli effetti del condono previdenziale a quelli del condono fiscale, sotto il profilo delle conseguenti preclusioni, pur in assenza di norme che tale equiparazione prevedano e pur in assenza di norme che sanciscano, anche per la regolarizzazione contributiva, l'estinzione dei giudizi in corso, nonostante la radicale diversita' delle due ipotesi di condono, in quanto mentre il condono tributario prevede l'esonero dall'integrale adempimento dell'obbligazione impositiva, essendone consentita una riduzione rispetto all'imponibile accertato d'ufficio o consentendosi la determinazione di quest'ultimo a prescindere dall'obiettivo accertamento dell'effettiva capacita' contributiva (art. 53 della Costituzione), al contrario il condono previdenziale comporta l'obbligo, per il datore di lavoro, il quale si avvalga di esso, di integralmente adempiere all'intera obbligazione contributiva, restando peraltro esposto alle eventuali ulteriori pretese contributive che l'ente previdenziale puo' vantare con riguardo alle stesse partite oggetto del condono, con riduzione delle sole sanzioni (cioe' delle sole somme aggiuntive). 2. - Le anzidette disposizioni, intese nel senso espresso dalle sezioni unite, arrecano inoltre, per un verso, una lesione al diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione e, per altro verso, anche al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione: anzitutto l'impossibilita' di accertare giudizialmente l'inesistenza del debito contributivo, una volta che quest'ultimo risulti soddisfatto in attuazione del condono, pare contrastare direttamente con la disciplina di cui all'art. 24 della Costituzione, per violazione del principio per cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei loro diritti e interessi; in secondo luogo determina un'ingiustificata disparita' di trattamento tra le due parti del rapporto obbligatorio previdenziale, in quanto cio' che viene negato al soggetto debitore risulta viceversa riconosciuto al creditore, dal momento che all'ente previdenziale resta pur sempre riconosciuto il diritto di far accertare al giudice l'esistenza di un debito maggiore di quello soddisfatto. 3. - Le disposizioni in considerazione, come interpretate dalle sezioni unite, appaiono altresi' in contrasto col combinato disposto degli artt. 3 e 24 della Costituzione, non potendosi trovare alcuna ragionevole giustificazione alla diversita' di trattamento tra colui il quale chieda l'accertamento negativo e la condanna alla ripetizione dopo aver pagato integralmente quanto richiesto per capitale ed accessori e colui il quale, invece, scelga di avvalersi delle modalita' solutorie previste nella legislazione relativa al condono previdenziale, potendo soltanto il primo, e non il secondo, richiedere ed ottenere l'accertamento dell'inesistenza dell'obbligazione contributiva e la condanna dell'ente alla ripetizione. Tale diversita' di trattamento, tale da negare al soggetto che abbia adempiuto mediante il condono, l' esercizio del diritto di difesa, non puo' infatti trovare razionale giustificazione: ne' nell'interesse dell'ente previdenziale, il quale potrebbe correlativamente vedersi obbligato ad effettuare le corrispondenti prestazioni pensionistiche (presumibilmente di importo superiore al vantaggio ricavato dall'acquisizione dei contributi), nonostante esse, in assenza dei relativi presupposti di legge, risultino in ipotesi non dovute; ne' nella stessa possibilita' del soggetto, non avvalendosi del condono, di mantenere integri i propri diritti processuali, giacche' per un verso tale possibilita' non giustifica da sola la diversita' di trattamento tra le due situazioni, e per altro verso impone surrettiziamente al soggetto pretesamente obbligato una sorta di condizione, solve et repete, in contrasto con i principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza 31 marzo 1961, n. 21. 4. - Le norme in tema di regolarizzazione contributiva, come sopra intese, sembrano altresi' contrastare con la disciplina di cui all'art. 38 della Costituzione, che configura il diritto alle prestazioni previdenziali in connessione non alla libera volonta' delle parti di costituirsi o meno una posizione assicurativa, bensi' all'effettivita' della condizione (di lavoro) legittimante l'assoggettamento al regime delle assicurazioni sociali. Ne consegue che l'irripetibilita' delle somme versate con il condono, ove non risulti esistente il debito contributivo, puo' determinare l'erogazione di prestazioni previdenziali non dovute con ingiustificata disparita' di trattamenti previdenziali per i lavoratori non in funzione della diversita' delle corrispondenti prestazioni lavorative, bensi' del differente comportamento del soggetto richiedente la prestazione, con conseguente violazione pure dell'art. 3 della Costituzione. 5. - Corrispondentemente le disposizioni sul condono previdenziale, cosi' interpretate, appaiono anche contraddire al principio espresso nell'art. 23 della Costituzione, secondo il quale "nessuna prestazione personale o patrimoniale puo' essere imposta se non in base alla legge": l'impossibilita' di accertare in giudizio l'inesistenza dell'obbligo contributivo, per il quale e' stato esercitato il condono, finisce infatti per attribuire all'ente previdenziale il potere di creare una situazione debitoria definitiva, ancorche' inesistente, limitandosi a non respingere la domanda di condono ed omettendo di verificarne l'esistenza dei presupposti di legge. D'altronde, non puo' presumersi che l'ente previdenziale, in quanto ente pubblico e come tale tenuto al principio di imparzialita' (art. 97 della Costituzione) debba per cio' stesso sempre effettuare una valutazione corretta e quindi insindacabile dell'esistenza o no di un debito contributivo, non potendosi neppure ipotizzare che l'ente, a fronte del gran numero di domande di condono ricevute in un limitato lasso di tempo, possa eseguire un esame approfondito e tempestivo della fondatezza della richiesta di regolarizzazione. In tal modo si finisce, peraltro, per attribuire all'ente previdenziale il potere-dovere di accertare i diritti del cittadino (tra i quali vi e' certamente quello di non pagare contributi previdenziali non dovuti), che e' per norma costituzionale (art. 24) riservato al giudice ordinario. 6. - Le disposizioni in tema di condono, come sopra interpretate, sembrano infine contrastare con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 e con il diritto di difesa di cui all'art. 24 nell'ipotesi in cui dovesse intervenire in seguito una disposizione di legge che, in sede di interpretazione autentica, e quindi con efficacia retroattiva avesse ad escludere l'assoggettabilita' a contribuzione previdenziale di una erogazione per la quale, fino ad allora, quell'assoggettabilita' era controversa. Si verrebbe a verificare in tal caso un'ulteriore inammissibile discriminazione, non potendo il datore di lavoro, il quale aveva ritenuto di avvalersi del condono, ottenere la ripetizione di quanto versato, mentre chi avesse rifiutato di versare i contributi si vedrebbe definitivamente esentato da ogni responsabilita' nei confronti dell'ente e chi, invece, avesse versato per intero i contributi, potrebbe comunque utilmente richiederne la restituzione. Ai motivi di incostituzionalita' sollevati con eccezione di parte, da ritenersi non manifestamente infondati, apparendo ragionevoli le obiezioni sopra riportate, il tribunale ritiene di poterne ex art. 23, legge costituzionale citata, aggiungere uno ulteriore, per contrasto delle disposizioni in tema di condono previdenziale, come interpretate nella sentenza n. 4918/1998 col combinato disposto degli artt. 3, 24 e 38 della Costituzione, per le ipotesi (tra cui quella di specie) in cui il condono sia destinato a chiudere la controversia tra ente previdenziale e soggetto gravato dall'addebito contributivo in relazione all'accertamento da parte dell'ente previdenziale della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, non denunciato, tra il soggetto pretesamente obbligato ed una terza persona (il preteso lavoratore subordinato). Nell'ordinamento vigente e' la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato che costituisce ope legis la correlativa posizione previdenziale a beneficio del lavoratore (come creditore dell'ente previdenziale da subito per le prestazioni assicurative ed in futuro per le prestazioni pensionistiche). Tale posizione - si noti - prescinde, in virtu' del principio di automatismo di cui all'art. 2116 c.c., addirittura dall'avvenuto adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi contributivi a suo carico. Per contro, non puo' costituirsi a favore di un soggetto alcuna valida posizione previdenziale per il solo fatto dell'avvenuto versamento dei corrispondenti contributi da parte di altro soggetto che pretenda, contro la realta' e percio' fittiziamente, di esserne datore di lavoro, posto che ai sensi dell'art. 8 d.P.R. n. 818/1957 i contributi indebitamente versati non sono computabili agli effetti del diritto alle prestazioni, ove e' evidente che per contributi indebitamente versati ci si intende riferire ai contributi versati nonostante l'inesistenza del rapporto sostanziale di lavoro subordinato che ne costituisce il presupposto di validita' e di efficacia. L'obbligazione contributiva sorge percio' per effetto di legge a carico del datore di lavoro automaticamente a seguito della instaurazione del rapporto di lavoro subordinato. L'adempimento dell'obbligazione contributiva trova percio' la sua unica causa, in ipotesi di lavoro subordinato, nel diritto del lavoratore ex art. 38, c.p.v., della Costituzione, a che siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle sue esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Non puo' per contro ipotizzarsi alcuna altra funzione del contributo previdenziale che non sia quella di garantire al lavoratore, cioe' al lavoratore per il quale viene effettuata, l'esercizio di quei diritti che la stessa Costituzione, ed in attuazione della stessa, le leggi previdenziali, prevedono come dovuti in suo favore. Non puo' percio' darsi causa sufficiente per la giustificazione del sacrificio patrimoniale (per il datore di lavoro) derivante dall'assoggettamento all'obbligazione contributiva se non quella della correlativa costituzione (in favore del lavoratore subordinato) dei corrispondenti diritti previdenziali, in una parola, della corrispondente posizione assicurativa. Se il pagamento del contributo non garantisce tale finalita', non assolve a tale funzione, esso non puo' che essere privo di causa, e percio' indebito, indipendentemente dal fatto che venga effettuato in forma ordinaria, ovvero mediante il ricorso alla procedura di regolarizzazione, che - giova ricordarlo - consente la riduzione delle somme aggiuntive, ma comunque postula il pagamento per intero del debito contributivo. L'ente previdenziale mantiene infatti la facolta' di accertare, nei confronti del lavoratore, l'invalidita' della sua posizione pensionistica per l'inesistenza del rapporto di lavoro subordinato. Nonostante l'intervenuta impossibilita' per il preteso datore di lavoro di ottenere la ripetizione di quanto corrisposto a titolo di contribuzione obbligatoria (avendo beneficiato del condono), cionondimeno l'ente previdenziale puo' quindi pur sempre opporre al lavoratore l'accertamento (contrario rispetto a quello posto a fondamento dell'addebito al datore di lavoro) dell'invalidita' della posizione previdenziale per inesistenza del rapporto di lavoro subordinato che ne costituisce il necessario presupposto. Tale conclusione appare ictu oculi in contrasto sia col principio di cui all'art. 24 della Costituzione, non meno che con quello di cui all'art. 3 della Costituzione, realizzando un rovesciamento del principio dell'automatismo (cui sopra si e' fatto cenno), tale per cui al lavoratore non spetterebbe la prestazione nonostante l'irreversibilita' dell'adempimento contributivo da parte del datore di lavoro. Il primo argomento addotto dalla Suprema Corte per negare fondatezza alla questione di costituzionalita' nei termini sopra indicati pare infatti non condivisibile. La sentenza n. 4918/1998 al fine sottolinea il valore non assoluto, in materia previdenziale, della regola secondo cui l'ente non puo' trattenere somme non dovute (ricavando l'inesistenza di tale valore assoluto dall'art. 8 d.P.R. n. 818/1957, laddove esso afferma che, trascorsi cinque anni dall'accertamento dell'addebito, le somme restano definitivamente acquisite alle gestioni dell'ente previdenziale): tale rilievo non coglie tuttavia nel segno: la disposizione richiamata non vale infatti a negare il legame inscindibile tra contribuzione e prestazione nell'unitario rapporto giuridico previdenziale, ma all'evidenza ha soltanto la ben diversa, e piu' circoscritta, funzione di dare certezza allo stesso rapporto giuridico previdenziale (ed al rapporto di lavoro subordinato che ne costituisce il presupposto), stabilendo che l'assenza di contestazioni da parte del preteso obbligato per un tempo ragionevolmente lungo (cinque anni) ne fa presumere juris et de jure la sussistenza. La norma in considerazione ha percio' una funzione analoga a tutte le altre norme che nell'ordinamento collegano la permanenza in vigore di un diritto (nel nostro caso, all'accertamento dell'inesistenza dell'obbligazione contributiva) al suo esercizio in un arco delimitato di tempo (come quelle in tema di prescrizione o di decadenza), norme che in nessun ambito dell'ordinamento valgono ad attribuire un minor valore giuridico al diritto soggettivo cui si riferiscono. Poiche' nel caso in esame la contestazione dell'addebito risulta essere stata tempestivamente e chiaramente espressa, e poiche' il pagamento e' stato effettuato con espressa riserva di ripetizione, non puo' utilmente farsi richiamo alla regola di consolidamento del pagamento per mancata contestazione dell'addebito nel termine di legge per inferirne l'impossibilita' di un successivo accertamento negativo. Il versamento all'ente previdenziale di somme di denaro a titolo di contributi previdenziali, in assenza di valida posizione giuridica previdenziale - a favore del terzo lavoratore subordinato - cui riferirlo, costituisce percio' comunque indebito oggettivo, non essendovi nell'ordinamento giustificazione alcuna per il corrispondente spostamento patrimoniale, e cio' anche se viene effettuato nel contesto della procedura di regolarizzazione. La rinuncia all'accertamento della natura indebita dell'adempimento contributivo, che secondo la giurisprudenza delle sezioni unite deriverebbe, per effetto di legge, dalla domanda di condono previdenziale, finisce cosi' col creare - nel rapporto giuridico previdenziale scaturente dall'addebito mosso dall'ente a carico di un soggetto in quanto datore di lavoro di altro soggetto - un notevole disequilibrio delle posizioni sostanziali e processuali tra le parti. Nell'ambito, infatti, di tale pur unitario rapporto, nel quale - giova ripeterlo - la sussistenza di crediti ed obblighi tra beneficiario ed ente previdenziale, cosi' come tra quest'ultimo e soggetto debitore, trae origine dall'effettivita' dell'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, per effetto del condono previdenziale permane il diritto all'accertamento di tale effettivita' (cioe' della subordinazione del rapporto) soltanto a favore dell'ente previdenziale (e del lavoratore pretesamente subordinato) e non anche invece a favore del datore di lavoro, al quale solo e' negata la possibilita' dell'accertamento giudiziale relativo alla sussistenza o meno della sua obbligazione contributiva (in relazione al carattere subordinato o no del rapporto collaborativo intercorso con l'altro soggetto). A parere del tribunale cio' comporta la violazione del principio di uguaglianza, per l'ingiustificata disparita' di trattamento tra le diverse parti del rapporto giuridico previdenziale, e nel contempo la violazione del diritto di difesa, essendo consentito all'ente l'accertamento giudiziale dell'inesistenza del rapporto di lavoro subordinato (per opporre al lavoratore l'inesistenza dei correlativi crediti da lui corrispondentemente vantati), mentre e' vietato al datore di lavoro il medesimo accertamento, per ottenere la restituzione dei contributi indebitamente versati. Tale conclusione non puo' peraltro ritenersi inibita dal carattere volontario e non coattivo dell'adempimento a seguito di condono previdenziale, trattandosi di elemento - la volontarieta' del pagamento - proprio di ogni ipotesi di pagamento indebito, e come tale non sufficiente di per se' a far ritenere razionalmente giustificata l'impossibilita' dell'accertamento negativo dell'esistenza dell'obbligazione e della richiesta di ripetizione. L'irripetibilita' di quanto versato a titolo contributivo in sede di condono, con facolta' tuttavia per l'ente previdenziale di negare al preteso assicurato la prestazione previdenziale o pensionistica per carenza dei relativi presupposti sostanziali, realizza in realta' un'ipotesi di atto solutorio dotato in se' di propria esclusiva causa, costituita dalla soddisfazione delle esigenze di deflazione giudiziaria e di facilitazione del recupero dei crediti contributivi. Tale causa, tuttavia, non puo' ritenersi sufficiente a sorreggere la definitivita' del pagamento per lo meno in tutte le ipotesi in cui non risulti possibile con esso cristallizzare il corrispondente rapporto giuridico previdenziale, consolidando a favore del correlativo beneficiario la conseguente posizione pensionistica. Posto che siffatto risultato non pare raggiungibile, permanendo la facolta' dell'ente di ridiscutere quest'ultima, le disposizioni di legge in tema di condono contributivo, interpretate nel senso dell'impossibilita' per il solvens di ottenere la ripetizione, appaiono in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione per le ragioni che precedono. Tale situazione, infatti, si differenzia nettamente da quella del condono tributario, giacche' con questo l'obbligazione fiscale risulta tra le parti del rapporto d'imposta definitivamente consolidata nei termini derivanti dall'adesione al beneficio. Occorre soltanto aggiungere che la questione di costituzionalita', da cio' derivante, non puo' essere elusa con l'argomento proposto dalle sezioni unite, secondo cui non potrebbe darsi la situazione sopra considerata (di pagamento contributivo in assenza di lavoro subordinato e, quindi, di obbligazione previdenziale), posto che l'ente previdenziale puo' sempre opporre un rifiuto alla richiesta di condono proveniente dalla parte: a prescindere, infatti, dalla pur assorbente considerazione che tale argomento finisce inaccettabilmente con il presupporre l'effettuazione dell'accertamento in virtu' della sua doverosita', va soprattutto fatto notare che assai di frequente l'addebito mosso col verbale di accertamento trae origine dalla decisione degli ispettori dell'ente previdenziale di negare il carattere autonomo assegnato dalle parti private ai rapporti collaborativi tra loro intercorsi; in conseguenza, ove il preteso datore di lavoro intendesse regolarizzare la propria posizione mediante il pagamento agevolato, senza peraltro rinunciare all'accertamento giudiziale dell'inesistenza dei pretesi rapporti di lavoro subordinato, non sussisterebbe ragione alcuna per il rifiuto da parte dell'ente del pagamento di quanto accertato come dovuto proprio sulla base della sua qualificazione dei rapporti di lavoro in contestazione: in altre parole, per negare il beneficio del condono, l'ente previdenziale dovrebbe smentire se stesso, negando la fondatezza degli accertamenti compiuti nel verbale col quale aveva contestato l'addebito. Cio' dimostra che, anche a prescindere dai rilievi a carattere formale circa la riserva della giurisdizione all'autorita' giudiziaria ordinaria anche in tema di accertamento negativo dell'obbligazione previdenziale, cionondimeno la valutazione da parte dell'ente della sussistenza dell'obbligazione contributiva non puo' rappresentare una valida premessa per giustificare l'esclusione dell'accertamento giudiziale, giacche' tale dato costituisce al contrario l'antecedente storico necessario (o di solito necessario) perche' il soggetto che si ritiene obbligato decida di estinguere l'obbligazione contestatagli, pur con tutte le riserve del caso, valendosi delle agevolazioni derivanti dalla legislazione premiale del condono. L'accettazione della domanda di condono, peraltro implicita nell'effettuazione senza contestazione dei relativi adempimenti, non puo' percio', neppure sul piano di mero fatto, sostituire l'accertamento da parte del giudice della sussistenza o meno dell'obbligazione contributiva, per mezzo della verifica circa il carattere subordinato o meno dei rapporti collaborativi presi in considerazione nel verbale di accertamento a carico del preteso datore di lavoro, ragion per cui l'interpretazione impostasi nella giurisprudenza di legittimita' in ordine agli effetti preclusivi del condono previdenziale non puo' non lasciare seri dubbi circa la compatibilita' con la costituzione, e soprattutto col diritto di difesa di cui all'art. 24, delle conseguenze che ne derivano. L'eventuale accoglimento delle censure di incostituzionalita' sopra esposte e' all'evidenza di massimo rilievo ai fini del decidere, giacche' costituisce il principale presupposto per poter verificare la fondatezza nel merito della domanda di accertamento negativo dell'esistenza dell'obbligazione contributiva e di condanna alla ripetizione di quanto a titolo contributivo ad esso corrisposto in esecuzione del condono. Ne deriva, stante la non manifesta infondatezza dei rilievi di incostituzionalita', l'obbligo per il tribunale, ai sensi dell'art. 23, legge costituzionale n. 1/1953, di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale e di sospendere il giudizio in corso. La presente ordinanza dovra' essere, a cura della cancelleria, notificata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.